Letteratura
- Il Medioevo
L'eroe e
gli oggetti magici
L'Amore di Sir l'Eroe e di Madonna illusione |
L'eroe
è colui che racconta la storia, dunque è il sopravvissuto, ce lo dice
Propp, che ha raccolto i racconti orali che si tramandano in tutto il
mondo. E tutti hanno le stesse funzioni narrative e la stessa struttura.
L'eroe esiste per riparare a un'offesa subita da un amico o da una persona
buona, ma indifesa. L'eroe qualsiasi cosa faccia, lo fa per un fine
superiore, quello di aiutare gli altri. Purtroppo spesso uccide in nome di
questi ideali. Comunque è più simpatico del suo Antagonista, il
Cattivo. Dunque basta imbastire una storia e saper descrivere come
Cattivo, il nostro nemico, che il lettore parteggerà per noi. Un giochino
semplice che sfrutta il bisogno irresistibile della gente di raccontare e
di ascoltare. Un desiderio irresistibile, come ci dimostra Sir Gawain, Il
Cavaliere Verde. Un desiderio che si consuma a tavola e si usa per
allietare il proprio ospite chiuso nel castello. Un desiderio, quello del
raccontare che trasmette il sapere di una comunità e ne ribadisce
attraverso questi exempla i valori. Ma l'eroe per dimostrare che ha vinto
in modo leale contro forze occulte, deve pur essere in difficoltà,
altrimenti diventa il capitano vanaglorioso di Plauto. E allora come fa a
salvarsi mentre penzola su un dirupo, o mentre il cattivo lo ha avvelenato
? Semplice l'eroe ha oggetti e aiutanti magici. Gli aiutanti in maniera
più o meno maldestra gli offrono l'oggetto magico : l'anello fatato, la
spada invincibile, tutte armi che alla fine permetteranno all'eroe di
combattere alla pari con il cattivo e quindi con nostra soddisfazione di
vincerlo.
Kirk
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Il canto monodico I canti gregoriani sono i canti cristiani raccolti da Papa Gregorio Magno nell’”Antiphonarium Cento”. Furono fatte copie a mano che il Papa mandò in Francia, Spagna e Bretagna affinché i cristiani cantassero gli stessi inni. A secondo dei luoghi presero il nome di Gallicano in Francia, Anglicano in Bretagna e Mozarabico in Spagna. Era un canto monodico, ad una sola voce e senza accompagnamento musicale. Ad ogni nota appartenevano tante sillabe che rendevano il canto lento. Erano in latino, lingua parlata dalla Chiesa. Con la scomparsa del feudalesimo ci fu una notevole crescita e diffusione della musica profana. La Chiesa si occupava della musica sacra, mentre nelle città si suonavano canti e danze popolari dall’andamento vivace. Questi canti sono stati raccolti e attribuiti ai Clerici Vagantes, cioè studenti nomadi che furono attratti da questa musica e dalle novità che portava. Era scritta in volgare e in latino con temi differenti: canzoni d’amore, canzoni per banchetti e canti d’ispirazione religiosa; avevano un tono scherzo e di facile esecuzione. Questi canti precedono la musica profana che si stava sviluppando in Francia. Nei Carmina Burana domina il senso laico dell’uomo e della vita; una visione circolare dell’esistenza che mette in risalto non solo la vacuità della vita umana in balia alla volubile Fortuna, ma anche degli aspetti positivi di questa stessa precaria esistenza. Carl Orff nell’Ottocento musicò i Carmina Burana trovati in un monastero, ispirandosi ad una miniatura della Dea Fortuna, contenuta nel manoscritto che raccoglieva i canti goliardici. La Dea viene rappresentata come una donna all’interno di una ruota che gira trascinando con sé un uomo che giunge ad ottenere la corona di re per poi perderla nuovamente. La ciclicità dell’immagine dà l’idea della ripetitività, in momenti diversi, tanto dell’elemento positivo (il regno) quanto l’elemento negativo (la perdita del regno). Ciclica è anche la struttura dell’opera di Carl Orff, che inizia con un inno alla Fortuna (“o fortuna come la Luna instabile sempre tu cresci e decresci”), prosegue con la celebrazione della primavera (“la primavera riconduce la gioia,via ormai ogni tristezza”) come momento di gioia e di danze festose, passa all’esaltazione del vino e dell’ebbrezza (“si beve per i vivi, quattro per i Cristiani tutti, cinque per i fedeli defunti”), dove i protagonisti giocano e bevono per tutte le persone al mondo. Qui ricorrono musicalità di tipo liturgico. Il testo procede con l’amore sensuale (“giovani e giovanette si uniscono naturalmente a coppie”), l’amore diventa prigioniero del desiderio e ritorna all’iniziale Inno alla Fortuna, vero motore della vita umana. Dopo la musica sacra dei canti gregoriani, arrivarono trovatori e trovieri (coloro che trovano e creano). Con loro si introduce una musica ritmata che invita al ballo. I trovatori e trovieri vivevano rispettivamente nel Nord e nel Sud della Francia, non scrissero in latino ma in due lingue “nuove”: i trovatori in lingua d’oc, i trovieri in lingua d’oil. Questi due “dialetti” erano compresi dalla gente perché era la lingua che parlavano. Associavano ad ogni nota una sillaba così i canti erano più piacevoli e ritmati. I trovieri raccontarono le vicende di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, mentre i trovatori cantarono l’amore in tutti i suoi aspetti. I canti popolari del secolo XII Ritmo della fine dell'VIII o inizio del IX secolo,
conservato nel codice LXXXIX della Biblioteca Capitolina di Verona;
scoperto nel 1924 dal paleografo italiano Luigi Schiapparelli.
L'indovinello, forse opera d'un chierico, che riprende un tema popolare,
l'aratura e la semina metafora dello scrivere: i buoi sono le dita, il
prato arato è la pagina, il versorio bianco è la penna d'oca, il seme
nero è l'inchiostro.
Non può esistere la canzone preferita
Tutte le parole,
tutte le melodie, tutti i gesti, regalano emozioni. Tutte le emozioni
regalano sogni. Tutti i sogni sono belli. Non si può parlare di una
canzone più bella e di una meno bella; bisognerebbe prima, stabilire il
significato di questo termine così complesso. La bellezza è qualcosa di
molto soggettivo. E’ bella l’alba, è bello il tramonto. E’ bello il
mare, ma non regala le stesse emozioni, penetranti, della montagna. E’
bella una canzone che esprime la poesia di un amore, è bella una canzone
che dona un momento di allegra spensieratezza. Non può esistere una
canzone preferita. Non può esistere una canzone capace di mettere
d’accordo tutti gli stati d’animo. L’umore decide cosa è bello e cosa
no, in un dato momento. Nella tristezza si preferiscono quelle canzoni,
che sembra vogliano esprimere il tuo dolore, quando si ha voglia di
ballare, piacciono quelle musiche commerciali che spopolano nelle
discoteche; quando, si ha voglia di dimenticare e di perdersi in un
sorriso, piacciono le allegre canzonette che non racchiudono significati
complessi. Non è un ragionamento di qualche irresponsabile ragazzo
lunatico, è quello che sta nella testa dei giovani; di quei giovani a
cui piace un cd finché non ne arriva uno nuovo. Si potrebbe parlare di
un artista preferito, si potrebbe parlare di un cantautore capace di
racchiudere nelle proprie canzoni tutti i diversi momenti. Si potrebbe
parlare di qualcuno capace di regalare parole d’amore, sorrisi, e dura
realtà; ma, comunque, non sarebbe ancora perfetto. E, cosa si può
preferire, se non, la perfezione? Non esiste dunque un cantante
preferito. Ci si può illudere di preferire una star o una canzone ad
un’altra, ma, ci si accorge che col passare del tempo, anche, queste
stelle smetteranno di brillare. E, poi, di un amante non si preferisce
una parte, ma tutto di lui appare perfetto e, quindi, della musica
perché si dovrebbe preferire una semplice sfumatura?
Kirk
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La nascita della letteratura italiana |
Il punto di partenza della letteratura italiana è sicuramente la nascita della Scuola Siciliana. I testi arcaici delle epoche precedenti sono già componimenti letterari, come il “Cantico delle Creature” di San Francesco d’Assisi, ma la loro apparizione come fenomeno poetico è casuale. L’iniziativa dei Siciliani, fiorita nei primi decenni del XIII secolo, raccoglie intorno ad un forte e saldo organismo qual è l’Impero di Federico II di Svevia intellettuali non solo siciliani, ma arabi e cristiani. I Siciliani importanti furono : Giacomo da Lentini, gli altri maggiori poeti della scuola siciliana sono: Guido delle Colonne Rinaldo d’Aquino, Giacomino Pugliese, Pier della Vigna, Iacopo Mostacci e Stefano Pronotaro. Adottano il siciliano come codice dei linguaggi che uniscono le culture mediterranee. Lingua illustre, conosciuta e quindi artisticamente importante. Con questa forgiano i canoni della lirica europea, cioè la canzone ed il sonetto. I temi trattati dai poeti della scuola siciliana sono ripresi da quelli della poesia provenzale: l’amore cortese che assume la forma di un atto di rispetto nei riguardi della “Madonna”, la donna fortemente e appassionatamente desiderata ed amata. Come nel sonetto “Io m’aggio posto in core a Dio servire” di Giacomo da Lentini, quello che forse racchiude meglio degli altri le caratteristiche generali della poesia siciliana.
Io m’aggio posto in core a Dio servire, com’io potesse gire in paradiso, al santo loco ch’aggio audito dire, 4 u’ si manten sollazzo, gioco e riso.
Senza mia donna non vi voria gire, quella c’ha blonda testa e claro viso, ché senza lei non poteria gaudere, 8 estando da la mia donna diviso.
Ma non lo dico a tale intendimento, perch’io peccato ci volesse fare, 11 se non veder lo suo bel portamento
e lo bel viso e ‘l morbido sguardare: chè lo mi teria in gran consolamento, 14 veggendo la mia donna in ghiora stare.
Questo sonetto unisce il sentimento religioso e quello amoroso, temi popolari e espressioni di corte. La metafora del “servire” Dio come rappresentazione del paradiso, come corte divina, sulle basi di quella terrena. Il paradiso è luogo del “sollazzo, del gioco e del riso”, le caratteristiche della vita delle corti. Ma il poeta per trovarsi in una simile condizione, per poter davvero star bene (“gaudere”), non può fare a meno della propria donna. Che non può non avere la pelle chiara e i capelli biondi, elementi tipici dell’ideale femminile dei poeti dell’epoca. La donna è talmente adorata da divenire quasi una divinità e l’amore per lei entra in contrasto con l’amore verso Dio. E il poeta a questo punto precisa che non vuole avere la donna con sé in paradiso per commettere peccato, Nei versi finali, la donna nella sua bellezza è comunque degna della gloria celeste. I Siciliani furono coloro che per primi cercarono di divinizzare la figura femminile, processo che fu realizzato dai poeti del Dolce Stil Novo. Solo la sconfitta di Benevento, con la morte di re Manfredi, figlio di Riccardo II (1266), pose fine a questa straordinaria esperienza che unì artisti e scienziati di tutto il Mediterraneo, all’insegna della tolleranza, del bello e della dignità dell’Uomo. Kirk |
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Il Dolce Stil
Novo
Gli Stilnovisti
Il dolce stil novo |
Dante mette insieme una
raccolte di liriche per la donna amata, Beatrice, chiamandola “Vita
Nova”. Il titolo deriva dal fatto che l’opera è stata conclusa dopo la
morte di Beatrice e dunque è una ricapitolazione di un amore passato. La
caratteristica di queste liriche è il commento in prosa che le precede.
Nel sonetto “Tanto gentile e onesto pare”, Dante mostra che la sua
felicità è nel saluto perché, è proprio in quel momento che Beatrice gli
appare- Dice: ”Tanto gentile e tanto onesta pare/la donna ma quand’ella
altrui saluta,/ch’ogre lingua dever tremando muta,/e li occhi no l’ardiscor
di guardare,/. Nella parte centrale del testo troviamo verbi come “pare,
appare, mostrarsi”. Dunque Beatrice appare a Dante, però è morta e ciò è
un evento straordinario, miracoloso. L’autore lauda (lodare) la sua
donna. La parola laudari deriva da lauda, cioè lode, che all’epoca si
faceva solo al Signore. Dante ama, anzi loda Beatrice per raggiungere
Dio.
Kirk
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Francesco Petrarca
nacque ad Arezzo il 20 luglio del 1304, da una famiglia fiorentina di
condizione borghese.Il padre era un notaio ed era stato mandato in
esilio e quindi si trasferì con la famiglia ad Avignone. Petrarca
all’età di dodici anni, fu inviato a studiare diritto all’Università di
Montpellier.Ma lo studio del diritto interessava poco a Francesco e
quindi andò a Bologna dove scrisse i primi versi in volgare. La morte di
suo padre lo fece tornare ad Avignone qui condusse una vita frivola cioè
una “bella vita”.
Petrarca
rappresenta una figura di intellettuale nuovo rispetto agli scrittori
del Duecento e a Dante. Non è più l’intellettuale comunale, legato ad un
preciso ambiente cittadino, ma un intellettuale con l’ansia di
viaggiare, nel variare continuamente il luogo dei suoi soggiorni,
Avignone, Parma, Montpellier, Bologna, Milano, Venezia, Padova. Erano i Capei d'oro e l'Aura sparsi
Erano i capei d'oro e l'aura sparsi che'n mille dolci nodi gli avolgea, e'l vago lumeoltra misura ardea di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi;
e'l viso di pietosi color'farsi, non so se vero o falso, mi parea: i'che l'ésca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l'andar suo cosa mortale, ma d'angelica forma, e le parole sonavan altro, che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch'i'vidi; e se non fosse or tale, piaga per allontanar d'arco non sana.
Il sonetto è tratto dal "Canzoniere", la più importante opera di Petrarca. Offre una delle rappresentazioni più famose della bellezza di Laura, rievoca, sia pure indirettamente, il primo incontro fra il poeta e la donna amata, riprendendo il tema tipicamente stilnovista della "lode". Dalla lirica scaturisce però una rappresentazione totalmente nuova della figura femminile, poichè Petrarca utilizzando elementi culturali preesistenti, li trasfigura e se ne impropria in modo del tutto originale. Tre sono le componenti innovative presenti nel testo: - la collocazione della donna sullo sfondo della natura; - la soggettività del poeta; - la dimensione temporale. L a descrizione di Laura prende avvio dalla lode dei suoi capelli biondi che con una metafora vengono paragonati all'oro e sono descritti nel loro leggero scomporsi al soffio lieve del vento primaverile. La figura femminile viene in tal modo collocata nelle natura ed è resa più allegra e vitale dal movimento. Subito dopo, l'espressione "dolci nodi" sono i capelli inanellati dal vento, ma a livello simbolico alludono ai nodo d'amore dei quali il poeta è prigioniero. Basta quindi una sola parola per trasferire la descrizione dal piano oggetivo a quelllo soggettivo. Vengono poi descritte la luminosità dello sguardo (e'l'vago lume oltre misura ardea) e l'espressione del viso colta nel suo cambiamento (e'l viso di pietosi color farsi, / non so se vero o falso mi parea). Nelle terzine ricorrono motivi più vicini allo stilnovo: l'incidere della donna, la dolcezza della sua voce, il paragone con l'angelo, che non implica alcun riferimento morale o religioso, ma è un ulteriore omaggio alla bellezza di Laura. In questa seconda parte l'immagine femminile è immersa in un alone di luce (Uno spirto celeste, un vivo sole) e d'indeterminatezza (non era l'andar suo cosa mortale), (altro che pur voce umana) che la fa apparire come una creatura sovraumana. Un altro elemento di divinità va ricercato nella presenza delle dimensione temporale. A differenza delle donne stilnoviste fissate in un eterna giovinezza, Laura è soggetta all'azione del tempo che appanna la sua bellezza e la colloca nella sfera delle cose terrene, umane. Nel sonetto si vengono pertanto a creare due piani temporali: il passato, "l'allora", illuminato dalla splendente giovinezza di Laura, e il presente, "l'ora", in cui la bellezza della donna appare sfiorita. Ma se il tempo non ha risparmiato il bel corpo femminile, intatto è rimasto il sentimento del poeta: la fiamma d'amore che lo ha bruciato al primo incontro (Qual meraviglia se di subito arsi?) continua a tormentarlo anche ora (piaga per allontanar d'arco non sana). Si viene così a creare una contrapposizione tra mutamenti esterni e stabilità interiore. Erano i capei d’oro a l’aura sparsi Carlo Ieraci
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di Iacopone da
Todi |
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I) L'Umanesimo è un movimento culturale che si afferma in Italia nel 1400, cioè in un periodo storico in cui : 1) tutti i tentativi di creare uno Stato unitario (almeno nell'Italia centro-settentrionale) erano falliti; cinque Stati regionali avevano imposto a tutta la penisola una politica di equilibrio e di spartizione delle zone d'influenza (Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli); 2) l'Umanesimo nasce per primo in Italia perché qui, prima o più che altrove, esistevano le condizioni favorevoli alla nascita dei rapporti economici capitalistici. Nei secoli XIV e XV l'Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo. Già nel XIII sec. le città italiane avevano difeso vittoriosamente, nella lotta contro l'impero tedesco, la propria indipendenza. Verso la metà del XIII sec. in molte città-stato repubblicane era avvenuta l'emancipazione dei contadini dalla servitù della gleba, anche se a ciò non corrispondeva quasi mai un'equa distribuzione della terra. La libertà conquistata dai contadini era più che altro "giuridica", il che non poteva impedire loro di trasformarsi in operai salariati nelle fabbriche di panno (opifici) o in braccianti, sfruttati da artigiani arricchiti, i quali consegnavano loro la materia prima o semilavorata ricevendo in cambio il prodotto finito; dai maestri delle corporazioni, che spesso li costringevano a restare garzoni e apprendisti per sempre; da mercanti-imprenditori, che li utilizzavano nelle loro manifatture solo per produrre merci d'esportazione, offrendo loro salari molto bassi, orari molto pesanti, mansioni parcellizzate, pochissimi diritti e stretta sorveglianza sul luogo di lavoro; da altri ricchi contadini neo-proprietari o persino dagli stessi feudatari di prima che ora li sfruttano con altri metodi (ad es. la rendita in denaro). 3) La più famosa rivolta dei contadini italiani fu quella guidata da Fra Dolcino, agli inizi del '300. Si può anzi dire che la repressione di tutti i movimenti ribellistici di quell'epoca (cardatori della lana, lanaioli, ecc.: vedi ad es. il tumulto dei Ciompi a Firenze), contribuì anch'essa all'istituzione di signorie e principati, cioè di governi centralizzati e autoritari. II) L'avvento delle Signorie, iniziato nel Trecento, aveva determinato l'estendersi territoriale dei confini dei Comuni più grandi, ma anche la fine dell'autonomia di molti altri Comuni e soprattutto la sostituzione del principio politico della repubblica con quello della monarchia. Tuttavia le Signorie sono state anche una risposta (seppure autoritaria) alle continue lotte intercomunali e intracomunali. III) La formazione delle Signorie contribuisce allo sviluppo dell'Umanesimo, perché: 1) organismi territoriali molto estesi, dotati di un complesso apparato burocratico-amministrativo e diplomatico, di corti culturali e politiche, portavano ad aumentare la richiesta di personale qualificato; personale che le Università tradizionali, ancorate ai programmi e alla didattica dell'enciclopedismo scolastico-aristotelico, non potevano fornire; di qui la nascita di nuove scuole (private) e accademie presso le corti; 2) oltre a ciò va considerato il fatto che il processo di formazione dei Comuni (iniziato sin dal mille e protrattosi fino all'avvento delle Signorie) aveva sì favorito l'autonomia economica e sociale dei ceti borghesi e commerciali, ma non era ancora riuscito a darsi una giustificazione teorica, di tipo etico-politico, filosofico-morale. E' appunto dal mondo antico che l'Italia umanistica delle Signorie trarrà gli spunti e gli esempi più significativi di virtù civili, di gloria militare, di eroismo personale, di autocontrollo delle passioni, di raffinato gusto estetico, che le serviranno per legittimare la propria diversità dal Medioevo (dall'"età di mezzo" -come veniva chiamato, in quanto, secondo gli umanisti, li divideva dall'epoca classica). Probabilmente i risultati più significativi e duraturi l'Italia li ottenne non sul terreno economico e politico, ma su quello culturale, con la nascita dell'Umanesimo prima e delle arti rinascimentali dopo.
La Cultura I) Riscoperta del mondo classico greco-latino (si studiano le lingue classiche, si ricercano antichi testi da interpretare in maniera filologica, erudita, razionale e critica: ad es. i testi degli antichi vengono analizzati attraverso il confronto fra i vari codici). La preoccupazione è quella di ristabilire l'esatto testo degli autori antichi, non più accettati nella lezione tradizionale medievale. Umanista non è solo -come nel Medioevo- lo studioso di retorica e di grammatica, ma un soggetto di "nuova umanità", cioè non solo nel senso che studia poesia, retorica, etica e politica (humanae litterae), senza più fare riferimento alla teologia scolastica, ma anche nel senso che lo studioso non è soggetto a una tradizionale autorità, essendo capace di autonomia critica e di senso storico, dovuto alla sua altissima cultura. L'umanista imita, stilisticamente, Cicerone nella prosa, Virgilio nell'epica, Orazio nella lirica: cerca addirittura di riproporre i loro problemi e di imitarli nelle loro virtù morali e politiche, nel loro razionalismo e naturalismo. Il Medioevo invece si era più che altro preoccupato di "ribattezzarli" secondo le esigenze della religione cristiana. II) Chi sono dunque gli umanisti? Sono intellettuali al servizio di una corte signorile, sono ricercatori eruditi e collezionisti di codici antichi, studiati in maniera filologica, al fine di stabilirne l'autenticità, la provenienza, la storicità (ad es. Lorenzo Valla dimostrò che la Donazione di Costantino è un falso medievale dell'VIII sec. elaborato per giustificare le pretese temporali del papato). Alcuni metodi di critica testuale o filologica sono validi ancora oggi: ad es. il carattere disinteressato della ricerca, per "amore" della verità. Grazie a loro nascono le prime biblioteche (quella Malatestiana a Cesena è del 1447-52) e nuove figure professionali: mercante di codici, libraio, tipografo... III) L'Umanesimo, riscoprendo il valore dell'autonomia creativa dell'uomo, superando i concetti tradizionali di autorità, rivelazione, dogma, ascetismo, teologia sistematica, tradizione con l'esigenza prioritaria di una riflessione personale, critica, Rompendo in sostanza l'unità enciclopedica medievale, inizia il processo di autonomia delle singole discipline, permettendo all'uomo di conoscere e dominare le leggi della natura e della storia. La riscoperta dell'autonomia della natura, con le sue leggi specifiche, porta allo sviluppo delle scienze esatte e applicate. Leonardo da Vinci traduce in scienza applicata le sue intuizioni nel campo dell'ottica, della meccanica, della fisica in generale. Architetti e ingegneri passano dalla progettazione di singoli edifici a quella di intere città. Geografi e cartografi saranno di grandissimo aiuto ai navigatori e agli esploratori dei nuovi mondi (vedi ad es. l'uso della bussola e delle carte geografiche). Grande sviluppo ebbero la medicina, la botanica, l'astronomia, la matematica, le costruzioni navali... La borghesia aveva bisogno dello sviluppo delle scienze basate sull'esperienza e sul calcolo, indispensabili alla produzione e al commercio dei beni di consumo.
LE CONTRADDIZIONI I) Esso afferma la dignità e l'autonomia dell'uomo nel momento in cui diventa cortigiano al servizio delle Signorie, per le quali la cultura è un elegante forma di pubblicità o un mezzo di evasione. Spesso infatti gli umanisti si consideravano una casta intellettuale al disopra del popolo. L'Umanesimo in sostanza esalta lo spirito critico mentre si estingue la dinamica politica del Comune, soffocata dalla dittatura delle Signorie. II) Esso acquisisce il senso della storia quando l'Italia viene tagliata fuori dal grande processo di formazione degli Stati nazionali. Paradossalmente, l'umanesimo, senza saperlo, prende a modello il mondo classico mentre la società borghese del '400 si stava avviando alla decadenza. III) Esso afferma degli ideali di rinnovamento socio-culturale, ma l'intellettuale resta isolato dalla società: ama la solitudine, rivaluta la tranquillità della campagna, usa il latino quando scrive, rinunciando al volgare (che tutti possono capire), tende all'idillio in letteratura, esaltando il valore della bellezza e dell'armonia formale. Non dimentichiamo che l'umanista è anche colui che giustifica l'idea secondo cui il successo rende leciti i mezzi con cui lo si consegue. Essendo fondamentalmente individualista, l'umanista considerava la soddisfazione delle esigenze dell'individuo un fine in se stesso. Sotto questo aspetto, le personalità che più si dovevano stimare -secondo l'umanista- erano quelle "emergenti" per ricchezza, cultura e potere. IV) Gli umanisti non furono contrari al cristianesimo ma alla scolastica medievale: furono anzi i primi a evidenziare una notevole autonomia di giudizio, eppure non ebbero mai la forza di creare un movimento di riforma religiosa analogo a quello protestante. Perché queste contraddizioni? Perché pur esistendo in Italia, a quel tempo, l'esigenza di superare la tradizione medievale e il particolarismo locale, non si aveva la sufficiente forza per realizzare questa esigenza di unificazione nazionale. |